L’occhio fotografico e la sua educazione

Guardare, vedere, osservare, fissare sono verbi solo apparentemente simili tra loro che, nella realtà, possiedono, tuttavia, una specificità semantica ben delineata. E’ già la lingua italiana, dunque, che mi viene in aiuto nella redazione di questo articolo, evidenziando come possano essere differenti tra loro gli atteggiamenti adottati quando qualcosa si trova davanti ai nostri occhi. Vedere e guardare, ad esempio, non rappresentano la stessa azione effettuata dall’occhio. Con il vedere, infatti, facciamo riferimento ad una mera attività di visualizzazione più superficiale, generica, vaga. Il guardare, invece, include uno step ulteriore in cui, oltre alla visualizzazione, sia presente un’attenzione maggiore, un focalizzarsi su ciò che si ha davanti. Nel primo caso parlerei di un’attività passiva sia dell’occhio sia della nostra soglia di attenzione. Nel secondo caso, invece, è presente un impulso dinamico nell’attività di visualizzazione che necessità, come presupposto, di una maggiore consapevolezza e attenzione. Tale premessa risulta doverosa per comprendere come, in campo fotografico, sia fondamentale che il fotografo abitui l’occhio a non posarsi in modo generico sul mondo circostante ma a soffermarsi con attenzione su di esso, analizzandone dettagli e particolari, per ricomporre il tutto, alla fine, secondo la propria personale visione ed interpretazione artistica. Il concetto è, dunque, quello di partire dalla realtà per analizzarla e per creare, successivamente, una personale chiave di lettura fotografica di essa. Partire dal dato empirico per terminare nella pura soggettività, nell’Arte.

L’educazione dell’occhio parte dalla vista ma sottintende, come premessa, una costante attività di presa di coscienza del dato esterno da parte del nostro cervello: guardiamo e fotografiamo con gli occhi ma lo facciamo (o dobbiamo imparare a farlo) anche con la testa, essendo presenti sempre a noi stessi, valutando attentamente ciò che vediamo, eliminando il “cattivo”e fotografando il “buono”. Si tratta di una vera e propria attività discernitivo-deduttiva che ha come scopo quello di condurci all’ “unicum” fotografico: il nostro scatto.

Aggiungo alla questione  un’altro aspetto collaterale ma altrettanto rilevante: giungere alla personale interpretazione della realtà, utilizzando i propri occhi e la propria testa, ma  passando, tuttavia, attraverso il lavoro e le opere di altri fotografi. Arrivare a creare un proprio stile, dunque, guardando allo stile altrui. Attingere dagli altri, dalle loro idee per partorirne di proprie. Guardare ai pregi e ai difetti di terzi per valorizzare e smussare, rispettivamente, i propri pregi e difetti.

Volendo, a questo punto, riassumere brevemente quanto precedentemente esposto, mi viene da dire che è importante, per chi voglia avvicinarsi al mondo delle fotografia, volgere le proprie energie in due differenti (ma convergenti) direzioni: imparare, da un lato, a guardare con attenzione la realtà che lo circonda e prendere l’abitudine di guardare, dall’altro, le fotografie altrui. Il perseguire tali attività con assiduità  e costanza fornirà all’utente la possibilità di maneggiare quegli strumenti  che contribuiranno a creare il suo personale stile fotografico, il suo “unicum”.

Orbene, passando a questo punto all’aspetto pratico, il lavoro di guardare la realtà, restando presenti a se stessi, consiste in una sorta di allenamento visivo con il quale abituare gli occhi ad osservare, con grande attenzione, la tipologia e la qualità della luce che si trova negli ambienti in cui quotidianamente viviamo. Faccio riferimento, ovviamente, sia alla luce naturale del sole che a quella artificiale delle varie lampadine, lampade, neon, etc. Bisogna imparare a guardare i volti ed i corpi delle persone, valutando le svariate cromie e le differenti intensità con le quali la luce avvolge tali volti e tali corpi. Bisogna imparare a coglierne le differenze e a riconoscere quali di queste siano migliori per ottenere belle foto. Complementare a quest’ultima attività e non meno importante, poi, è quella di “geometrizzazione” della realtà circostante. Abituare gli occhi, cioè, ad individuare gli elementi geometrici presenti sulla scena (quali diagonali, rette, curve, elementi e colori uguali che si ripetono) rendendoli, laddove possibile, punti di forza dello scatto. Solo il tempo e l’allenamento costante possono garantire la completa padronanza di entrambe le facoltà.

L’altro grande lavoro visivo che è necessario compiere per migliorare il proprio livello fotografico consiste, come sottolineavo precedentemente, nel guardare, prendendone spunto, le foto altrui, i capolavori dei grandi fotografi/artisti, in primis, senza disdegnare, tuttavia, gli scatti di pregio dei fotografi definiti “di battaglia”, come possono essere, ad esempio, i fotoreporter e i fotografi di cerimonia. Ognuno di essi fornirà all’utente miriadi di informazioni utili, ognuno di essi, rappresentando la realtà dal proprio personale punto di vista, darà spunti di riflessione sempre nuovi e inaspettati. Il relazionarsi con tali fotografie sarà, man mano che si procede con l’ allenamento visivo, fonte di grande arricchimento culturale, ci donerà nuove prospettive di vedute, ci fornirà originali idee fotografiche cui attingere, ci offrirà spunti dai quali partire per sviluppare, successivamente, un proprio stile, ci darà la capacità di discernere ciò che è valido da ciò che non lo è, ci farà crescere, in poche parole, e ci renderà dei fotografi migliori.

Giovanni Somma

 

 

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